Relativo agli articoli “Cani in Aspromonte parte prima e seconda

 

Caro Giovanni, ho letto con attenzione e interesse gli articoli sui cani di Mannera e il tentativo di reinserirli in Aspromonte. Mi è tornato subito in mente quando venni contattato da un responsabile del Parco del Pollino (che non c’entra nulla con l’Aspromonte ma che  coinvolge  in parte anch’esso la regione calabrese), per un preventivo di un progetto di inserimento di cani da guardiania del tipo pastore abruzzese nelle loro realtà pastorali. Preventivo di progetto al quale non ebbi mai risposta. Al tempo ero il coordinatore scientifico del C.I.R.Ca, centro di ricerca per cani da lavoro. Era il 2014 e avevamo diversi progetti già in itinere e così cadde nel dimenticatoio. Quello che però mi ha colpito dell’articolo è proprio l’approssimazione con cui viene affrontato il problema. Siamo nel 2020, esiste ormai materiale documentale a sufficienza per operare con dei protocolli testati e validati. Ciò nonostante  si continua ad andare per a braccio sulla scorta di dicerie, opinioni e tentativi vari. Finché ci si continua a basare sulle convinzioni dei pastori, su scritti e documenti storici di scarso valore scientifico, in questo campo non si va da nessuna parte. Sfatiamo intanto il mito che i pastori sanno come allevare e gestire cani da guardiania. Quanti cani, figli di cani che sapevano fare il loro mestiere, sono stati eliminati fisicamente dai pastori perché risultati inadatti? Quante volte mi sono sentito dire, questo cucciolo è uscito male. Non hanno la più pallida idea del perché un cane lavora bene e l’altro no; da cosa dipende e quali siano le ragioni. Nel caso del cane di Mannera,  già stiamo parlando di una non “razza”. Perdona la crudezza, ma di fatto è così. Lo dicono gli stessi siciliani che è un cane meticcio per antonomasia. Ognuno alleva ed incrocia questi cani a piacimento e tiene quelli utili ai propri fini eliminando quelli dannosi. Quindi di quali eventuali predisposizioni genetiche all’attività di guardiania stiamo parlando? E dunque  si prendono questi cani no guarantee , che magari da diverse generazioni non sono più stati impegnati per gli scopi originari della loro esistenza e si buttano tra gli ovi-caprini, stando a guardare cosa succede; ovvero se funzionano. È veramente disarmante.  È vero, inizialmente si faceva così – era questo il sistema per selezionare cani adatti al lavoro di guardiano del gregge. Accoppiavi cani che funzionavano, eliminando strada facendo tutti quelli non utili o dannosi. Penso che però oggi dovremmo essere un po’ più avanti rispetto a questi sistemi atavici e soprattutto crudeli. Ci sono stati anni di studi di persone come  Raymund  e Lorna Coppinger, Paolo Breber, Jean Marc Landry e altri che hanno consentito di ottenere un bagaglio di informazioni tale da poter iniziare ad affrontare il problema in modo più scientifico, razionale e dunque in modo più efficace. Ma anche loro si sono fermati ad osservare ed analizzare i comportamenti di questi cani, spesso basandosi esclusivamente sulle predisposizioni genetiche delle diverse razze. Il problema nell’etologia sta nel fatto che l’osservazione di un determinato comportamento è alterata dalla soggettività di chi osserva. In base al bagaglio di studio, culturale, ma anche di elementi emotivi, l’interpretazione del comportamento osservato non sempre fornisce un dato oggettivo. Per cui, quale è l’elemento fondamentale che ci consente di verificare se abbiamo veramente capito cosa sta accadendo. E qui mi rifaccio al mio mentore de relato che è Konrad Lorenz. Lui sosteneva che quando si osserva un determinato comportamento, si osserva cosa accade e come accade, ma l’unica risposta che ci consente di ottenere un risultato è comprendere perché accade. Il cosa ed il come non ci consentono di replicare il risultato, ma solamente il perché ci fornisce gli strumenti per riprodurre un esito precedentemente osservato. È questo che la scienza esige per essere considerata tale. È  l’elemento chiave che la consacra come tale. Si  osserva un fenomeno, lo si studia per conoscerne l’origine  e lo si replica. Faccio un esempio banalissimo. Osserviamo colori diversi e si potrebbe pensare che ognuno è un elemento cromatico a se stante. Poi iniziamo a mischiare alcuni di loro e ci accorgiamo che unendo  determinati colori ne otteniamo degli altri,  che attraverso la semplice osservazione  non ci avrebbero consentito di sapere che sono il risultato di tale commistione. Per cui, se dico che mischiando il giallo con il blu ottengo il verde, lo posso dire perché procedendo a tale operazione ottengo il colore desiderato. Questa è la prova scientifica che la mia supposizione è valida.  Ora so di peccare di una buona dose di presunzione, ma sembra che io sia stato il primo e, a quanto pare, ancora l’unico che si ponga il problema del perché i cani da guardiania agiscono in un certo modo. Infatti, si continua imperterriti a prendere dei cani che, secondo la naturale  destinazione della loro razza, dovrebbero fare la guardia agli animali da reddito e li si consegna alle aziende, per poi osservarli e vedere cosa succede. Fare dei test, a cani  in età adulta, inseriti in tal modo nel contesto pastorale, per verificare la loro funzionalità è fallimentare già come concetto di fondo. Pregiudica la buona riuscita e crea l’ulteriore problema di cosa fare con i cani inidonei. Invece di eliminare il problema della predazione andiamo a creare disagi ulteriori ad aziende già in difficoltà. Negli ultimi vent’anni mi sono dedicato allo studio delle ragioni che portano determinati cani ad avere specifici comportamenti rispetto ad altri e una volta individuate le ragioni ho iniziato a replicare le condizioni più ottimali per ottenere il risultato sperato. Infatti, osservando pedissequamente dei precisi protocolli si sono ottenuti sempre i medesimi risultati e nei progetti così organizzati non sono mai emersi cani inidonei al lavoro. Ovviamente qualcuno è risultato più bravo di qualche altro, ma è un fatto legato alle individualità caratteriali. Mai si è verificato che un cane fosse risultato inadatto a quel tipo di lavoro o addirittura dannoso per l’attività dell’azienda. In qualche raro caso sono emerse delle piccole tare comportamentali da attribuire esclusivamente all’inosservanza da parte degli allevatori nell’applicare le indicazioni fornite. Ecco perché è fondamentale che in un progetto di inserimenti di cani da guardiania venga fatta prima una valutazione preventiva del problema nel suo complesso. Va valutata la gestione dell’azienda in linea generale, la conformazione geomorfologica del territorio, la stima in termini di quantità e qualità di predatori. Poi vanno preparati i titolari dell’azienda  e relativi operatori per la corretta gestione dei nuovi collaboratori a quattro zampe. Infine, potendo solo raramente fare affidamento agli aggiornamenti forniti da chi poi è deputato a gestire i cani, necessitano verifiche mensili da parte di persone specializzate nel settore, affinché venga assicurato l’idoneo sviluppo psicologico dei futuri guardiani. Questo è l’unico sistema idoneo per ottenere dei risultati tangibili e utili alla mitigazione del conflitto tra aziende zootecniche e predatori. Per cui, vedere che ancora oggi si affronti questo problema con una tale approssimazione è fortemente scoraggiante. A me non interessa essere in prima linea. Non ho velleità di primeggiare e non sono un accentratore. A me basterebbe sapere che chi vuole approcciare il problema lo faccia in modo scientifico e faccia uso dei sistemi ormai già testati con risultati efficaci. Il dr. Duccio Berzi, che è stato uno dei primi a chiedere la mia collaborazione, può testimoniare che i danni da predazione in Toscana si sono ridotti notevolmente a seguito del nostro intervento. Altrettanto è avvenuto  in Umbria, nella provincia di Terni, come può testimoniare il dr. Maricchiola, promotore di un progetto quinquennale. Credo che anche la dott.ssa Luisa Vielmi, referente del progetto di Grosseto può confermare la validità dei sistemi da me adottati. Del resto, dopo tale esperienza la Vielmi ha creato una attività ex nova del settore che si chiama “Difesa Attiva”, basata  sulle nozioni da me  apprese durante il progetto. L’unico rammarico è che nessuno ha mai fatto una ricerca statistica sul prima e dopo, affinché potessero parlare i numeri. Ad ogni modo, non ho mai fatto un segreto dei miei studi, delle mie esperienze e dei risultati ottenuti. Basterebbe che chi vuole fare questo mestiere si approcciasse con un po’ più di umiltà al problema, utilizzando metodi già pluritestati, anziché confondere i sistemi d’imprinting e condizionamento dei rapporti di comunicazione interspecifica con i sistemi di condizionamento operante, utilizzati dagli educatori cinofili. Oggi invece nascono tutti esperti, ma vorrei vedere quanti si cimenterebbero nel settore se nei contratti di collaborazione per la fornitura dei cani da guardiania ci fosse la clausola che i cani risultati non idonei andrebbero restituiti e ricollocati da chi li ha forniti, come è stato p.e. nel progetto di Grosseto. Lì, attraverso le verifiche, anche a sorpresa, siamo riusciti a dimostrare la cattiva gestione da parte di alcuni nuovi affidatari, ritirando i cani e ricollocandoli in altre aziende. Seguendo passo passo il loro riadattamento ancora oggi i cani ricollocati lavorano con ottimi risultati. E qui  mi torna in mente il vecchio proverbio abruzzese “ ognune all’arte se e le pecore a ju lupe”.

 

 

 

Aggressione parte di un incrocio tra Pittbull e Amstaff ad un Agente di Polizia Penitenziaria, conduttore cinofilo del carcere di Asti.

Caro Giovanni, ho letto con attenzione l’articolo relativo al tragico incidente avvenuto all’interno del carcere di Asti. Immagino che tu abbia fedelmente riportato quanto ti è stato riferito. Durante la lettura ho riscontrato una serie di inesattezza e di disattenzioni gravi da parte di chi avrebbe dovuto conoscere meglio il proprio mestiere. Sempre partendo dal presupposto che si tratta di un mio punto di vista.  

Quasi non so da dove cominciare. Intanto specifichiamo che non è lo Staffordshire Terrier che deriva dal pittbull ma è esattamente il contrario, però questo è veramente l’ultimo dei problemi. Intanto si continua a sostenere che il pedigree ( anche se nel caso del pittbull, come in altre razze affini, non sono riconosciuti dagli enti cinofili ufficiali) sia sinonimo di garanzia sul carattere di un cane, quando è ormai arcinoto che chi seleziona per vincere e vendere, farsi un nome nell’ambiente, tutto seleziona meno che il carattere. Semmai è vero esattamente il contrario, ovvero che gli allevatori improvvisati di certe razze, come pittbull e simili, li allevano proprio per la loro innata aggressività al fine di  incentivarla. Vogliono cani cattivi che incutano timore, facendone un loro blasone animato. Quindi in questo caso sì che vi è una selezione del carattere anche se in senso negativo. E sono proprio questi i primi a non avere scrupoli nel cedere i loro cuccioli a persone poco raccomandabili che certo non hanno esitazioni se devono abbandonare un cane perché divenuto scomodo. È per questo, a mio avviso, che nei canili si trova un po’ di tutto e spesso il peggio. Cani con un passato dubbio e con dei traumi a volte indelebili. Non mi stanco mai di  ribadire che i traumi subiti da tutti gli esseri viventi, nel periodo dell’età evolutiva, diventano permanenti e si ripercuotono sull’individuo in età adulta. Quante volte, anzi spessissimo, sentiamo di gesti folli o assurdi da parte di persone apparentemente tranquille, o giudicate tali da amici, parenti e  conviventi,  e che ci lasciano sgomenti? Basta un elemento attivante il trauma latente celato nel nostro subconscio, che il malessere si scatena e diventa palese, solo apparentemente senza una vera ragione. Questo vale tanto per l’essere umano quanto per gli animali. È per questo che contesto l’idea di adottare un cane già adulto per addestrarlo per determinati fini. Se sufficientemente giovane e giocoso imparerà facilmente, senza dubbio, ma non gli cancellerà gli scheletri nell’armadio. Non sappiamo se, quando e quanti traumi ha subito il nostro amico a quattro zampe finito nel canile. A lume di naso però è logico ipotizzare che ne abbia subiti, se non altro quello dell’abbandono. Fosse anche non per cattiveria o negligenza, ma per esigenze reali. Per esempio che il padrone sia deceduto e non avendo parenti che potessero adottare il cane l’hanno dovuto gioco forza togliere dal suo ambiente familiare, lontano da affetti e luoghi rassicuranti. Il cane ovviamente lo vive come un abbandono e se questo avviene in una data fascia di età, specialmente in razze che legano più con le persone che con altri cani, il soggetto può subire un trauma grave. Poi c’è un ulteriore aspetto a volte sottovalutato. Il cane addestrato non lavora per abitudine o amor proprio, ma per compiacere il suo alter ego umano, il suo amico del cuore, il suo amante, il suo tutto. È proprio la simbiosi empatica che nasce tra cane e conduttore che consentono di ottenere gli straordinari risultati di tanti cani da lavoro. Non è pensabile di addestrare un cane per un certo tipo di lavoro e strada facendo cambiare conduttore, o meglio partner,  più volte come fosse una autovettura di servizio che cambia conducente. Un cane da lavoro dovrebbe iniziare e finire la sua carriera lavorativa con il medesimo compagno o compagna che sia. Mi pare di aver letto che in due episodi sono stati aggrediti, una volta una neo istruttrice e nel caso più grave, un istruttore neo assegnato a quel cane. Infatti si legge tra parentesi testualmente: “prima era gestito da un altro”. Mi vengono i brividi solo a leggere la parola “gestito”. Ora, senza voler parlare del caso specifico riguardo al quale  non ho sufficienti informazioni, ma immaginate uno di questi allevatori esaltati che comincia a fare incroci tra cani da combattimento come appunto anche il pittbull X amstaff ( che anche qui parlare di incrocio è un tantino azzardato, visto che sostanzialmente è lo stesso cane), esaltando la loro aggressività attraverso accoppiamenti mirati e condizionamenti specifici che ne fanno una perfetta macchina da guerra – un vero cane da combattimento. Poi, magari deluso perché il cane non ha dato i risultati sperati, lo abbandona anche perché risulta difficile da ricollocare. Quindi abbiamo un cane potente, potenzialmente aggressivo e traumatizzato a causa dell’abbandono da parte del suo padrone. I pittbull, come molte razze molossoidi, spesso si lega morbosamente al suo compagno umano. Nulla di più facile che un cane così, dopo questo indelebile trauma e i vari sballottamenti, finalmente convinto di  avere trovato l’amore della sua vita (il suo conduttore), ad un certo punto subisca la rievocazione di quel trauma perché cambia il suo conduttore. Alla prima sostituzione penserà che magari non è potuto venire; alla seconda che magari è malato, ma quando alla terza lo assale il panico di essere stato abbandonato di nuovo e definitivamente, come pensate possa reagire un cane con un temperamento così aggressivo?

Per quanto mi riguarda, anche nel campo dell’addestramento o dell’educazione cinofila non si può prescindere dalla psiche animale, che va tenuta in considerazione e rispettata. Voglio concludere le mie considerazioni in modo da non lasciare fraintendimenti. Utilizzare cani con una determinata predisposizione caratteriale per un certo tipo di lavoro e andare su cani di razza certificati da pedigree non è sbagliato. È sbagliato invece convincersi che il pedigree  costituisca una garanzia assoluta. Come è altrettanto sbagliato sostenere che i meticci non siano affidabili o adatti al lavoro. Anzi, spesso la loro miscellanea di geni diviene sinonimo di particolare duttilità. Quali sono allora le cose che possono fare la differenza? Dopo la scelta del cane è fondamentale che lo si prenda da cucciolo in modo che cresca senza subire traumi o devianze caratteriali indotte. È vero che mediamente un cane da uno fino a tre anni di età è molto predisposto all’apprendimento e quindi addestrabile o educabile, ma avrà già superato il periodo più importante della formazione della propria psiche, che resta un bagaglio indelebile. Il secondo elemento fondamentale per ottenere un cane che lavora con piacere a che dia la massima affidabilità è che resti con il proprio partner e non diventi un “arnese utilizzato da chi capita”. Questo dovrebbe essere l’ABC e se venisse applicato in modo pedissequo magari si eviterebbero spiacevoli sorprese.

 

Valuta tu se ritieni opportuno pubblicarlo o meno. Un abbraccio, Freddy

Pedigree si, pedigree no?

Prendo spunto per questo articolo dalla tragedia avvenuta in Calabria dove un presunto cane da guardiania, cosiddetto “maremmano”, ha sbranato e ucciso una ragazza di vent’anni. Fui contattato da un giornalista di una rivista on line Kodàmi, facente parte del gruppo Fanpage, per un parere. Ovviamente le mie furono considerazioni non precipue rispetto ai fatti del caso, di cui non ho sufficiente conoscenza, ma espressi semplicemente dei concetti in linea generale. Purtroppo c’è chi sfrutta anche un lutto così grave per sostenere le proprie convinzioni e le proprie politiche. Il succo della sequela di sciocchezze scritte, si su facebook, ma da allevatore e persona che gode di considerazione nell’ambiente del cane pastore Maremmano Abruzzese, era che la ragazza era morta perché il cane guardiano non aveva il pedigree. In sostanza, sostiene che solo il pedigree attesta l’appartenenza ad una determinata razza e può dare garanzie sulle attitudini caratteriali del cane e sulla sua idoneità al lavoro. Mentre la prima parte del concetto è del tutto condivisibile, sulla seconda ci sono un bel po’ di cosa da dire. È indubbio che un cane con pedigree dia una attestazione attendibile su chi siano i suo genitori e sul rispettivo albero genealogico. Allo stesso modo garantisce, o almeno dovrebbe, la corrispondenza morfologica allo standard di razza. E già qui non sempre vi è la assoluta certezza. Quello in cui un pedigree invece non costituisce affatto garanzia è sul carattere e/o le attitudini al lavoro. Non è un segreto che in pressoché tutte le razze di cani allevati a scopo di compagnia o fini espositivi, ovvero selezionate per compiacere l’occhio degli appassionati, la selezione del carattere viene posta in secondo piano. Tant’è che i cani da lavoro nella stragrande maggioranza, morfologicamente tendono a differire anche di molto dai loro parenti fotomodelli.  Per fare un parallelo con i fotomodelli bipedi.  Chi vuole fare il fotomodello o l’indossatore non ha bisogno di saper recitare, cantare, o magari fare il presentatore. L’importante è che abbia una conformazione fisica e un aspetto il più confacente possibile al concetto di estetica di quel periodo. Ciò non esclude che ci siano modelle o modelli che sappiano recitare, cantare o altro, ma certo non costituisce una caratteristica richiesta, ricercata  o fondamentale per svolgere il loro lavoro. Quindi le capacità artistiche o intellettive sono del tutto ininfluenti, non  incidendo pertanto nella selezione. Esattamente quello che succede con inostri amici a quattro zampe non destinati ad una attività di supporto a quelle dell’uomo. Per cui sostenere che nei cani da pastore il pedigree costituisca garanzia di equilibrio caratteriale e affidabilità è pura demagogia. Badate bene, a me gli estremismi non piacciono e come non sono un “no vax” o  robe simili non sono un “no pedigree”.  Per dovere di verità devo dire che esistono alcuni ambienti cinofili dove standard di razza e attitudini al lavoro vengono coniugati benissimo.  Anche se non è certo la regola. Ma quello che bisogna tenere in conto quando questo binomio riesce è che parliamo di razze addestrate attraverso un condizionamento operante dove la relazione e simbiosi uomo cane viene ulteriormente stimolata; dove essa è propedeutica alle capacità lavorative del cane. Nel contesto dei cani da guardiania il problema invece si pone perché ci troviamo in un contesto completamente diverso. Sono fermamente convinto che i cani da guardiania debbano essere certificati e che non vi è nulla di più scellerato che tentare di mischiare razze con caratteristiche diverse, spesso valutate impropriamente e senza consapevolezza. Quindi è giusto che si conoscano genitori e nonni dei cani utilizzati. È indispensabile che vi sia traccia delle capacità lavorative e delle attitudini caratteriali dei progenitori. Difficilmente però tali informazioni si ottengono attraverso un pedigree concepito e rilasciato per  scopi del tutto diversi. Il grande gap che si crea tra i cani cosiddetti “di razza” e quelli che lavorano sul campo e che i secondi si riproducono in libertà nel branco, è dovuto ad un diverso condizionamento durante la crescita. Come più volte spiegato nei miei libri è la capacità di valutazione di situazioni diverse e di un effettivo  pericolo, da parte del cane, che consente di avere una reazione commisurata all’azione. È fondamentale scindere il vero branco, ovvero una piccola società organizzata sulla base di una  gerarchia piramidale, da un gruppo di cani vaganti. In quel caso il  termine branco, in senso scientifico, è del tutto fuori luogo. Il vero status di branco svolge  un ruolo molto importante per la pacifica convivenza all’interno del gruppo e per l’organizzazione funzionale, evitando ed eliminando ogni reazione eccessiva e irrazionale. Questa capacità di valutazione delle situazioni molto spesso viene meno proprio nei cani di razza certificata che crescono con il loro padroncino, spesso in simbiosi, strappati dal loro contesto originario e con una comunicazione interspecifica che non consente loro uno sviluppo confacente alla propria specie di appartenenza. Il cane domestico oggi spesso ha disimparato a comunicare in modo corretto con i propri conspecifici. Ha disimparato ad avere timore delle cose che non conosce. È soggetto a reazioni esagerate o esasperate per mancanza di capacità di valutazione delle situazioni emergenti. Non voglio neanche arrivare al problema ancora maggiore della “gameness”  incentivata e selezionata nelle razze dei cani da combattimento. Quello che ritengo sia importante sapere è che un cane cresciuto in famiglia o in un rapporto di coppia interspecifica, è molto meno affidabile di quanto non lo siano i cani cresciuti in un vero branco. Intanto un cane di carattere, ovvero di polso, che non è diffidente verso l’uomo non ha timore di aggredirlo. Il cane cresciuto in branco, e non “abbrancatosi” da grande, ha quasi la medesima diffidenza verso le persone e le situazioni insolite del il lupo. Ed è proprio la capacità di autodeterminazione e l’istinto di autoconservazione a dissuadere  loro nell’esporsi  inutilmente a situazioni di rischio e dunque anche di aggredire l’uomo. Chi ha avuto tempo e voglia di scorrere le pagine del mio sito probabilmente avrà letto, in una delle due perizie pubblicate, che la cagna di PMA che aggredì la signora che passò vicino al gregge era proprio l’unica munita di  pedigree. Questo perché spaventata e incapace di valutare le situazioni di pericolo,  cadendo così nella “reazione critica” di Hediger (panico),  aggredendo alla ceca. Per cui, per quanto mi riguarda, pedigree si, ma non come attestazione di equilibrio e capacità lavorative. Necessitano ben altri sistemi di certificazione per garantire una vera predisposizione attitudinale. Esorterei pertanto certe persone di restare nel loro campo, onde evitare di arrecare danni ulteriori.

01.10.2021

 

Freddy Barbarossa

Gli antichi guardiani delle pecore: una narrazione di Freddy Barbarossa e Domenico Ciccone

Sono ormai due gli appuntamenti che abbiamo dedicato alle greggi ed ai cani da pastore (vedi anche, “I cani a supporto della pastorizia”). Siamo sicuramente stati spinti dalla curiosità di capire a fondo questi “custodi della tradizione” ma anche dalla voglia di approfondire senza pregiudizi se l’impiego di cani da guardiania, unitamente alle reti di protezione notturna delle greggi, possa essere un modo concreto e fattibile per far convivere l’allevamento estensivo degli ovini con lupi, orsi e turisti.

L’allevamento estensivo degli animali è il metodo di gestire gli animali da cibo più “gettonato” dai consumatori e più gradito dall’opinione pubblica. Questi stessi soggetti auspicano anche che predatori come il lupo e l’orso, che si erano quasi estinti, tornino a popolare il loro habitat. Amano immergersi nella natura e mangiare prodotti genuini, ma vogliono salvare il lupo e ad alcuni dà fastidio la presenza del pastore con i suoi cani.

Abbiamo chiesto al Dott. Freddy Barbarossa, esperto di cani da guardiania e autore di due libri sul tema (“La vera storia del cane pastore abruzzese” e “L’aggressivita come garanzia per una pacifica convivenza“), di accompagnarci dal pastore Domenico Ciccone, detto Mimì, che ha il gregge a Calascio, in Abruzzo, nei pressi di Campo Imperatore, e che utilizza con successo i cani da guardiania e le reti di protezione per difendersi dai lupi.

Con loro abbiamo parlato approfonditamente di questi animali e della loro etologia, e di come sia possibile far convivere tutto questo con i turisti.

Buona visione!

"https://www.kodami.it/aggredita-a-morte-da-un-branco-di-cani-gli-esperti-genetica-e-comportamento-potrebbero-spiegarlo/"

Questo URL vi porta sull'articolo di Kodàmi.it che parla dell'aggressione e uccisione della povera ventenne in calabria ad opera di cani da guardiania. Ci tengo a precisare che non tutti i cani bianchi hanno il dna e la giusta attitudine del cane pastore abruzzese e non tutti i cani che lavorano con le greggi sono veri cani da guardiania. Spesso la cattiva gestione di un allevatore poco accorto verso le esigenze e l'incolumità degli altri fa il resto. 

Ecco il seguito dell'articolo precedente. cercherò di seguire gli aggiornamenti passo passo.

 

https://www.kodami.it/aggredita-a-morte-dai-cani-a-satriano-indagato-il-pastore/

 

Un pastore di 44 anni è stato iscritto nel registro degli indagati per la morte, a Satriano (Catanzaro), della 20enne Simona Cavallaro, vittima di un’aggressione fatale di alcuni cani. I carabinieri della compagnia di Soverato lo hanno individuato come proprietario del gregge di capre che stava pascolando nel campo dove la ragazza si trovava con un amico.
CONOSCERECANINEWS

Un pastore di 44 anni è stato iscritto nel registro degli indagati per la morte, a Satriano (Catanzaro), della 20enne Simona Cavallaro, vittima di un'aggressione fatale di alcuni cani. I carabinieri della compagnia di Soverato lo hanno individuato come proprietario del gregge di capre che stava pascolando nel campo dove la ragazza si trovava con un amico.

I militari stanno continuando le ricerche per catturare i cani (circa 15) che si sarebbero avventati su di lei. Per ora ne sono stati presi due che avevano tracce di sangue. Gli esemplari sarebbero particolarmente aggressivi, tanto che all’arrivo dei Carabinieri e della polizia locale le forze dell’ordine hanno sparato alcuni colpi di pistola in aria per farli allontanare.

Il pastore è accusato del reato di omicidio colposo e ora potrà nominare un proprio perito in vista dell’autopsia disposta dal pubblico ministero della Procura di Catanzaro Irene Crea. Gli investigatori dei Carabinieri stanno cercando di valutare diversi fattori: tra questi, anche il luogo dell’incidente, vicino a una pineta usata come area da pic-nic dove i due stavano facendo un sopralluogo per una scampagnata domenicale.

Il sindaco di Soverato, Ernesto Alecci, ha dichiarato il lutto cittadino per il giorno in cui saranno celebrati i funerali di Simona. «Per un dolore di questo tipo non esistono parole di conforto adeguate», dice.

Come ha spiegato David Morettini, istruttore cinofilo e componente del Comitato scientifico di Kodami, un numero di 15 esemplari, «per la tradizione della pastorizia italiana sarebbe legato a un gregge gigantesco, di migliaia di capi» e quindi «ci potrebbe essere stato un surplus rispetto al lavoro che sono chiamati a fare. Il pastore, che non è un educatore né un istruttore, va a creare un equilibrio con le esigenze che ha di badare al gregge».

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Ruminantia. it I cani a supporto dell'allevamento di bestiame da reddito
Un bel articolo di Alessandro Fantini con cui sta nascendo una bella collaborazione.
ruminantia.it-I cani a supporto della pa
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Relativo agli articoli “Cani in Aspromonte parte prima e seconda”

 

Caro Giovanni, ho letto con attenzione e interesse gli articoli sui cani di Mannera e il tentativo di reinserirli in Aspromonte. Mi è tornato subito in mente quando venni contattato da un responsabile del Parco del Pollino (che non c’entra nulla con l’Aspromonte ma che  coinvolge  in parte anch’esso la regione calabrese), per un preventivo di un progetto di inserimento di cani da guardiania del tipo pastore abruzzese nelle loro realtà pastorali. Preventivo di progetto al quale non ebbi mai risposta. Al tempo ero il coordinatore scientifico del C.I.R.Ca, centro di ricerca per cani da lavoro. Era il 2014 e avevamo diversi progetti già in itinere e così cadde nel dimenticatoio. Quello che però mi ha colpito dell’articolo è proprio l’approssimazione con cui viene affrontato il problema. Siamo nel 2020, esiste ormai materiale documentale a sufficienza per operare con dei protocolli testati e validati. Ciò nonostante  si continua ad andare per a braccio sulla scorta di dicerie, opinioni e tentativi vari. Finché ci si continua a basare sulle convinzioni dei pastori, su scritti e documenti storici di scarso valore scientifico, in questo campo non si va da nessuna parte. Sfatiamo intanto il mito che i pastori sanno come allevare e gestire cani da guardiania. Quanti cani, figli di cani che sapevano fare il loro mestiere, sono stati eliminati fisicamente dai pastori perché risultati inadatti? Quante volte mi sono sentito dire, questo cucciolo è uscito male. Non hanno la più pallida idea del perché un cane lavora bene e l’altro no; da cosa dipende e quali siano le ragioni. Nel caso del cane di Mannera,  già stiamo parlando di una non “razza”. Perdona la crudezza, ma di fatto è così. Lo dicono gli stessi siciliani che è un cane meticcio per antonomasia. Ognuno alleva ed incrocia questi cani a piacimento e tiene quelli utili ai propri fini eliminando quelli dannosi. Quindi di quali eventuali predisposizioni genetiche all’attività di guardiania stiamo parlando? E dunque  si prendono questi cani no guarantee , che magari da diverse generazioni non sono più stati impegnati per gli scopi originari della loro esistenza e si buttano tra gli ovi-caprini, stando a guardare cosa succede; ovvero se funzionano. È veramente disarmante.  È vero, inizialmente si faceva così – era questo il sistema per selezionare cani adatti al lavoro di guardiano del gregge. Accoppiavi cani che funzionavano, eliminando strada facendo tutti quelli non utili o dannosi. Penso che però oggi dovremmo essere un po’ più avanti rispetto a questi sistemi atavici e soprattutto crudeli. Ci sono stati anni di studi di persone come  Raymund  e Lorna Coppinger, Paolo Breber, Jean Marc Landry e altri che hanno consentito di ottenere un bagaglio di informazioni tale da poter iniziare ad affrontare il problema in modo più scientifico, razionale e dunque in modo più efficace. Ma anche loro si sono fermati ad osservare ed analizzare i comportamenti di questi cani, spesso basandosi esclusivamente sulle predisposizioni genetiche delle diverse razze. Il problema nell’etologia sta nel fatto che l’osservazione di un determinato comportamento è alterata dalla soggettività di chi osserva. In base al bagaglio di studio, culturale, ma anche di elementi emotivi, l’interpretazione del comportamento osservato non sempre fornisce un dato oggettivo. Per cui, quale è l’elemento fondamentale che ci consente di verificare se abbiamo veramente capito cosa sta accadendo. E qui mi rifaccio al mio mentore de relato che è Konrad Lorenz. Lui sosteneva che quando si osserva un determinato comportamento, si osserva cosa accade e come accade, ma l’unica risposta che ci consente di ottenere un risultato è comprendere perché accade. Il cosa ed il come non ci consentono di replicare il risultato, ma solamente il perché ci fornisce gli strumenti per riprodurre un esito precedentemente osservato. È questo che la scienza esige per essere considerata tale. È  l’elemento chiave che la consacra come tale. Si  osserva un fenomeno, lo si studia per conoscerne l’origine  e lo si replica. Faccio un esempio banalissimo. Osserviamo colori diversi e si potrebbe pensare che ognuno è un elemento cromatico a se stante. Poi iniziamo a mischiare alcuni di loro e ci accorgiamo che unendo  determinati colori ne otteniamo degli altri,  che attraverso la semplice osservazione  non ci avrebbero consentito di sapere che sono il risultato di tale commistione. Per cui, se dico che mischiando il giallo con il blu ottengo il verde, lo posso dire perché procedendo a tale operazione ottengo il colore desiderato. Questa è la prova scientifica che la mia supposizione è valida.  Ora so di peccare di una buona dose di presunzione, ma sembra che io sia stato il primo e, a quanto pare, ancora l’unico che si ponga il problema del perché i cani da guardiania agiscono in un certo modo. Infatti, si continua imperterriti a prendere dei cani che, secondo la naturale  destinazione della loro razza, dovrebbero fare la guardia agli animali da reddito e li si consegna alle aziende, per poi osservarli e vedere cosa succede. Fare dei test, a cani  in età adulta, inseriti in tal modo nel contesto pastorale, per verificare la loro funzionalità è fallimentare già come concetto di fondo. Pregiudica la buona riuscita e crea l’ulteriore problema di cosa fare con i cani inidonei. Invece di eliminare il problema della predazione andiamo a creare disagi ulteriori ad aziende già in difficoltà. Negli ultimi vent’anni mi sono dedicato allo studio delle ragioni che portano determinati cani ad avere specifici comportamenti rispetto ad altri e una volta individuate le ragioni ho iniziato a replicare le condizioni più ottimali per ottenere il risultato sperato. Infatti, osservando pedissequamente dei precisi protocolli si sono ottenuti sempre i medesimi risultati e nei progetti così organizzati non sono mai emersi cani inidonei al lavoro. Ovviamente qualcuno è risultato più bravo di qualche altro, ma è un fatto legato alle individualità caratteriali. Mai si è verificato che un cane fosse risultato inadatto a quel tipo di lavoro o addirittura dannoso per l’attività dell’azienda. In qualche raro caso sono emerse delle piccole tare comportamentali da attribuire esclusivamente all’inosservanza da parte degli allevatori nell’applicare le indicazioni fornite. Ecco perché è fondamentale che in un progetto di inserimenti di cani da guardiania venga fatta prima una valutazione preventiva del problema nel suo complesso. Va valutata la gestione dell’azienda in linea generale, la conformazione geomorfologica del territorio, la stima in termini di quantità e qualità di predatori. Poi vanno preparati i titolari dell’azienda  e relativi operatori per la corretta gestione dei nuovi collaboratori a quattro zampe. Infine, potendo solo raramente fare affidamento agli aggiornamenti forniti da chi poi è deputato a gestire i cani, necessitano verifiche mensili da parte di persone specializzate nel settore, affinché venga assicurato l’idoneo sviluppo psicologico dei futuri guardiani. Questo è l’unico sistema idoneo per ottenere dei risultati tangibili e utili alla mitigazione del conflitto tra aziende zootecniche e predatori. Per cui, vedere che ancora oggi si affronti questo problema con una tale approssimazione è fortemente scoraggiante. A me non interessa essere in prima linea. Non ho velleità di primeggiare e non sono un accentratore. A me basterebbe sapere che chi vuole approcciare il problema lo faccia in modo scientifico e faccia uso dei sistemi ormai già testati con risultati efficaci. Il dr. Duccio Berzi, che è stato uno dei primi a chiedere la mia collaborazione, può testimoniare che i danni da predazione in Toscana si sono ridotti notevolmente a seguito del nostro intervento. Altrettanto è avvenuto  in Umbria, nella provincia di Terni, come può testimoniare il dr. Maricchiola, promotore di un progetto quinquennale. Credo che anche la dott.ssa Luisa Vielmi, referente del progetto di Grosseto può confermare la validità dei sistemi da me adottati. Del resto, dopo tale esperienza la Vielmi ha creato una attività ex nova del settore che si chiama “Difesa Attiva”, basata  sulle nozioni da me  apprese durante il progetto. L’unico rammarico è che nessuno ha mai fatto una ricerca statistica sul prima e dopo, affinché potessero parlare i numeri. Ad ogni modo, non ho mai fatto un segreto dei miei studi, delle mie esperienze e dei risultati ottenuti. Basterebbe che chi vuole fare questo mestiere si approcciasse con un po’ più di umiltà al problema, utilizzando metodi già pluritestati, anziché confondere i sistemi d’imprinting e condizionamento dei rapporti di comunicazione interspecifica con i sistemi di condizionamento operante, utilizzati dagli educatori cinofili. Oggi invece nascono tutti esperti, ma vorrei vedere quanti si cimenterebbero nel settore se nei contratti di collaborazione per la fornitura dei cani da guardiania ci fosse la clausola che i cani risultati non idonei andrebbero restituiti e ricollocati da chi li ha forniti, come è stato p.e. nel progetto di Grosseto. Lì, attraverso le verifiche, anche a sorpresa, siamo riusciti a dimostrare la cattiva gestione da parte di alcuni nuovi affidatari, ritirando i cani e ricollocandoli in altre aziende. Seguendo passo passo il loro riadattamento ancora oggi i cani ricollocati lavorano con ottimi risultati. E qui  mi torna in mente il vecchio proverbio abruzzese “ ognune all’arte se e le pecore a ju lupe”.

Articolo per K9 Uomini e cani

Ormai sono più di un paio di decenni che mi dedico al fenomeno della mitigazione del conflitto tra predatori e allevatori di bestiame da reddito. Un problema che si acuisce con l’aumentare della presenza del lupo nelle riserve naturali, ma ormai anche al di fuori. Il metodo più funzionale per la salvaguardia degli ovi-caprini, ma anche di altro bestiame da reddito, che nei millenni si è dimostrato il più efficace è quello dell’utilizzo di cani da guardia al gregge.  Vanno bene dissuasori acustici e recinzioni elettrificate, ma nella pastorizia allo stato brado, dove gli animali si spostano per chilometri liberamente, anche in assenza del pastore, c’è un’unica soluzione – il cane da pecora o cane da guardiania come oggi viene distinto rispetto a cani con funzioni diverse.

È evidente che per avere una efficacia nell’utilizzo di questi cani, necessita che siano idonei a svolgere il loro lavoro. Lavoro che spesso viene confuso con il sostituirsi ai cacciatori nell’uccidere il lupo. Non è assolutamente quello il fine, ma quello di salvaguardare l’incolumità del bestiame e ridurre al minimo le perdite. Il cane che per rincorrere ed ammazzare il lupo abbandona il gregge è tutt’altro che un cane utile. Serve  al padrone per pavoneggiarsi, ma risulta poco utile all’economia dell’azienda.

Quindi ci si pone il problema di quali siano i cani bravi in questo lavoro. Purtroppo oggi si ragiona per razze in senso cinofilo che non ci aiuta affatto ad individuare i cani più utili. Prima di spiegare esattamente cosa intendo necessita fare un po’ di chiarezza  sul concetto di razza. Oggi, per ragioni che mi sfuggono, si usano termini ben definiti in modo del tutto improprio. Biologi, veterinari, zoologi e scienziati di ogni genere continuano a parlare di ibridi, quando trovano un incrocio tra cane e lupo. Così come la matematica non è una opinione, non lo dovrebbero essere neanche le terminologie scientifiche. Un ibrido è un incrocio tra animali di specie diverse. Ma dal momento che canis lupus e canis familiaris (la versione addomesticata) appartengono alla medesima specie, non si può parlare di ibridi. Chiamare un incrocio cane/lupo  ibrido è un falso terminologico. Quando poi parliamo di razza in ambito cinofilo le cose si complicano ulteriormente.

In una specie di animali si possono distinguere diverse razze. In natura esse si distinguono attraverso caratteristiche morfologiche ed attitudinali differenziate a causa dell’adattamento agli habitat diversi  a cui appartengono e che hanno inciso nella loro evoluzione  in modo permanente, modificando conseguentemente il loro  aspetto. Quando parliamo di animali addomesticati nascono storture e forzature che cominciano a confondere il vero senso della parola razza. Per fare un esempio. Se ho una numero imprecisato  di coppie di cani bianchi,  maculati marrone, appartenenti ad una fantomatica razza che chiameremo “macchioni”. Strada facendo decido che mi piacerebbero completamente bianchi. Cucciolata dopo cucciolata elimino quelli più maculati, mantenendo quelli con il pelo più candido e poco chiazzato. Faccio accoppiare solo questi ultimi finché cominciano a capitare i primi senza alcuna macchia. A quel punto utilizzo solo questi ultimi per gli accoppiamenti ed elimino, man mano, tutti i cuccioli che tornano a presentare macchie. Questo fin quando avrò ottenuto il risultato sperato, ovvero tutti cani completamente bianchi. A questo punto decido di chiamarli “bianconi”, asserendo che si tratta di una razza a parte. Secondo voi, se andiamo a fare un accurato esame del Dna, quanto sarà differente quello dei macchioni rispetto a quello dei bianconi? Quanto pensate possa incidere sulla funzionalità del cane un tale cambiamento, se non strettamente collegato ad una maggiore possibilità di sopravvivenza al polo nord? Zero assoluto.

Questo esempio è molto semplice e banale, ma costituisce il principio base della selezione cinofila. Aggiungendo all’eliminare le macchie, la selezione di un pelo più lungo ed una statura maggiore, che quindi potrebbe veramente dare l’idea di avere di fronte una razza diversa, il concetto di fondo non cambia. Per cui, con queste premesse, quanto ci può tornare utile sapere a che razza appartiene un cane per capire se risulta idoneo a fare un lavoro piuttosto che un altro. Vi assicuro, assai poco! Se avrò l’opportunità di pubblicare qualche ulteriore articolo su K9 uomini e cani, magari potrò entrare più nello specifico e delineare quali sono le caratteristiche fondamentali per  un buon  cane da guardiania.

 

 

 

 

Questo  libro  parla non solo del cane pastore abruzzese, ma anche di altre razze originariamente utilizzate in supporto alla pastorizia. In questo saggio faccio cenno  alle differenze e similitudini tra esse e come anche la morfologia e la biomeccanica svolgono un ruolo importante nella selezione di questi cani. Dal titolo però si evince che il filo conduttore è costituito dalla componente psicologica insita in queste razze e come essa interviene sulla funzionalità di questi cani, garantendo una pacifica convivenza tra operatori zootecnici  e predatori.  Questo saggio spiega come attraverso un sistema comunicativo tra guardiani e incursori si possono ridurre  sensibilmente i danni ed evitare che si scatenino, come in passato, guerre tra gli uomini che vivono di allevamento di bestiame da reddito e i grandi predatori, ormai sempre più presenti nei vari territori del vecchio continente.

Questo è il mio primo libro che parla della storia del cane da pastore abruzzese. Parla delle mie esperienze personali ma anche di fatti ed evidenze mai pubblicate in altri testi. Alcune cose contenute nel libro per gli appassionati cinofili evidentemente non risultano di sufficiente interesse, altre invece spesso vengono volutamente omesse perché considerate verità scomode. A me interessa dare informazioni e non riscuotere successo. Ho ritenuto necessario scrivere questo libro affinché restasse memoria di alcune evidenze che riguardano questa razza, spesso smentite ma solo a voce. E' un testo utile anche per chi vuole iniziare ad avvicinarsi a questo splendido cane, potendo così partire con le idee un po' più chiare; che di sciocchezze se ne sentono anche troppe in giro. A breve uscirà il mio secondo libro che parla dei cani da guardiania più in generale e la loro atavica predisposizione che li rende così adatti al  lavoro che svolgono.